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Piccoli nel corpo, grandi nell’arte: una lezione che riscrive la storia

Il nanismo nei secoli, slalom tra pregiudizi e violenze: lo racconta Francesca Morando

Parole chiave: Francesca Morando (1), Nanismo (1), Disabilità (40)
Piccoli nel corpo, grandi nell’arte: una lezione che riscrive la storia

Sono sempre esistiti a tutte le latitudini e in tutte le epoche, dall’estremo Oriente alle Americhe precolombiane, destando curiosità e attirando l’attenzione, nonostante i pochi centimetri di altezza. A raccontarci la “Storia delle persone nane nell’arte”, decisamente poco conosciuta, è Francesca Morando, storica dell’arte (sopra, nella foto di Paul Crespel), una laurea all’Università di Verona seguita dalla Scuola di specializzazione in beni storico-artistici all’Università degli Studi di Padova. Francesca è affetta da una forma rara di nanismo, la displasia diastrofica. «Con 98 centimetri di altezza la mia vita quotidiana è ogni giorno una scommessa, visto che vivo in un mondo progettato per persone alte almeno 60 centimetri più di me».

È stata proprio Morando a tenere la conferenza inaugurale organizzata dalla neonata associazione culturale di promozione sociale “Articolo 9”, che si terrà nella sala civica di Costermano il 18 febbraio scorso. «Obiettivo di Articolo 9 è la promozione di iniziative volte alla sensibilizzazione sui temi come l’ambiente, il paesaggio, la cultura e l’inclusione – spiega la presidente, Giulia Forti –, ma con un taglio originale e fresco. Francesca è la persona ideale, quindi, per aprire questa nuova avventura culturale».
La storica dell’arte ha accompagnato, quindi, il pubblico a conoscere le alterne vicende delle persone nane nel corso dei secoli. E si scopre, così, che proviene dall’Italia il primo nano conosciuto della storia: si tratta di Romito 2, dal nome della Grotta del Romito, nel Parco Nazionale del Pollino. Siamo nel 9200 a.C., e lo scheletro apparteneva a un maschio di circa 15 anni. «Questo dettaglio mi ha colpito – commenta Moscardo –. Noi saremmo portati a pensare che una disabilità così compromettente in un ambiente di cacciatori o raccoglitori portasse a uccidere i neonati e non a prendersene cura. Ma lui, invece, era stato incluso nel suo gruppo sociale».
Il periodo più buio, ancora una volta, è il Medioevo, epoca in cui la deformità fisica veniva letta come peccato da espiare, colpa, punizione: i nani si ritrovarono quindi, come altri disabili, emarginati e vittime di violenze. Si arriva, poi, al Rinascimento: «Nelle corti reali europee la presenza di nani è attestata anche da numerosi dipinti. Essi assumono il ruolo di consiglieri, dame di compagnia, buffoni. Il loro livello sociale era comunque basso, un gradino appena al di sopra del cane. E permetteva loro di mangiare, ma poco più: i nani erano al di sotto di ogni altro essere umano».
Si arriva, quindi, alle soglie dell’Ottocento e al Novecento. Epoche in cui lo stigma e l’emarginazione sociale proseguono, anche se in altre forme. “La figura del nano, chiuse le corti regali e principesche, si travasò pari pari nel mondo dei circhi”, scrive Gian Antonio Stella nel libro Diversi. La lunga battaglia dei disabili per cambiare la storia (Solferino, 2019). “Sempre con lo stesso ruolo millenario: far ridere. Un ruolo che pesava umanamente su ogni singolo clown brevilineo”.
Eppure, nell’antico Egitto le cose andavano diversamente: i nani vennero raffigurati nelle tombe dell’élite, avevano mansioni prestigiose, erano danzatori e danzatrici, musici, guardarobieri reali, gioiellieri, attendenti di vario tipo. «Alcuni di loro raggiunsero i vertici della corte e divennero così importanti da tramandarne il nome e il ritratto: come Seneb, alto funzionario alla corte di Cheope, tra gli altri titoli capo dei nani di palazzo, raffigurato in un curioso ritratto scultoreo con la moglie e i figli», racconta Moscardo. E aggiunge: «Sono stata colpita, nella mia ricerca, dal fatto che le persone nane fossero considerate in modo migliore nel passato rispetto ai giorni nostri. Personalmente mi ritengo fortunata perché non ho mai vissuto esperienze tragiche, ma nell’età contemporanea esistono ancora forme di violenza psicologica e fisica, di bullismo, di emarginazione delle persone nane».
La conferenza è stata proposta la prima volta nel corso della passata edizione del festival “Non c’è differenza”, presso il Teatro Scientifico-Teatro Laboratorio di Verona, quando Isabella Caserta invitò la studiosa a fare un intervento sul tema. «Fino a quel momento la rappresentazione della diversità fisica nei secoli passati mi aveva sempre incuriosito. Poi è arrivata l’occasione di approfondire davvero, e sono felice di poter parlare di nuovo di persone nane nell’arte – conclude la studiosa –. In questo modo ho la possibilità di unire due aspetti legati in modo indissolubile nella mia vita: la mia disabilità e l’amore per l’arte. Per me stessa ma anche per chi mi ascolta, soprattutto i giovani, che per loro natura sono più curiosi e più aperti alla scoperta della diversità, e si portano addosso meno pregiudizi degli adulti». 

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