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Mario Castelnuovo-Tedesco musicista doctus e poliedrico

Erano senz’altro imprevedibili le moltissime celebrazioni che si stanno tenendo in tutta Italia per ricordare il cinquantesimo anniversario della morte del compositore Mario Castelnuovo-Tedesco (1895-1968). Imprevedibili ma giustificatissime, onde poter richiamare alla memoria un musicista di rara finezza e cultura, prolifico sia nell’ambito cameristico, che sinfonico, teatrale, cinematografico...

Erano senz’altro imprevedibili le moltissime celebrazioni che si stanno tenendo in tutta Italia per ricordare il cinquantesimo anniversario della morte del compositore Mario Castelnuovo-Tedesco (1895-1968). Imprevedibili ma giustificatissime, onde poter richiamare alla memoria un musicista di rara finezza e cultura, prolifico sia nell’ambito cameristico, che sinfonico, teatrale, cinematografico.
Fiorentino di famiglia ebraica, allievo di Ildebrando Pizzetti, Castelnuovo-Tedesco si impose ben presto all’attenzione dei musicisti e del pubblico non solo italiani grazie al suo stile suggestivo eppure limpido, alieno dall’espressionismo tragico di area germanica ma non per questo meno elaborato nella sofisticazione armonica. In brani pianistici come Cipressi, Le stagioni o Piedigrotta, quadri evocativi d’un descrittivismo mai banale ma invece rielaborato con un lirismo idiomatico inconfondibile, oppure nella copiosa produzione per chitarra solista o con orchestra, in cui Castelnuovo-Tedesco dà forma a un contrappuntismo bachiano di vertiginoso virtuosismo, troviamo ancora oggi un approccio alla creazione musicale decisamente moderno, libero da dogmatismi. Soprattutto eminentemente melodico, come se la gioia del canto, anche quando plasmata secondo una dottrina costruttiva di estrema sofisticazione, dovesse sempre essere l’obiettivo primo della creazione musicale. Non stupisce dunque trovare nel suo catalogo una serie di straordinari Sonetti di Shakespeare intonati sull’originale inglese, così come una Ballata dell’esilio sul testo di Cavalcanti o L’infinito leopardiano, in cui la semplicità del canto accompagnato da un solo strumento diviene per l’autore la condensazione massima di ogni segno poetico cui un musicista possa attingere.
In vita, Castelnuovo-Tedesco fu autore amato ed eseguito da giganti dell’interpretazione come Toscanini, il chitarrista Andres Segovia, il pianista Walter Gieseking, il violinista Jascha Heifetz e il cellista Gregor Piatigorsky: anche grazie a loro, la fama del musicista fu planetaria, tanto che, in seguito alle leggi razziali del 1938, egli riparò negli Stati Uniti trovandovi un’accoglienza che nell’arco di pochi anni lo condusse a un impiego nell’industria cinematografica, dove musicò come ghost writer più di un centinaio di film, ma dove soprattutto la sua reputazione di Maestro indiscusso lo portò ad avere tra i suoi allievi quelli che poi sarebbero diventati alcuni dei migliori compositori di musica per film di sempre: John Williams, Nelson Riddle, Henry Mancini, André Previn, tra gli altri. Del resto, basta ascoltare il suo capolavoro sinfonico, il Concerto per violino e orchestra n. 2 “I profeti” (1933) per sentire le sonorità, i timbri e il gesto di tante colonne sonore.
Musicista doctus, il Nostro, non solo per la sagacia delle sue contaminazioni poetiche, teatrali, filmiche, ma anche per il suo acume di studioso, ma diremo meglio, di “scrittore musicale”. A quest’ultimo proposito, consigliamo di procurarsi il volume da poco edito La penna perduta. Scritti 1919-1936, a cura di Mila De Santis, pubblicato da Aracne Editrice: si tratta di una silloge di saggi di Castelnuovo-Tedesco che passano in rassegna compositori tra i maggiori contemporanei, da Schönberg a Stravinsky, a Malipiero, a Bartòk e decine di altri. Si scopriranno non solo una cultura globale da autentico umanista fiorentino, ma altresì una delle più belle prose critiche del ’900, in un libro che è anche una preziosa guida alla musica del secolo scorso.

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