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La villa della poesia di Rufina Ruffoni

Elisabetta Zampini
Sognando un dolce andare
Rufina Ruffoni: una grande poetessa dimenticata
Quiedit, Verona 2015
pp. 110 - Euro 10

Parole chiave: Sognando un dolce andare (1)
La villa della poesia di Rufina Ruffoni

C’è da ritenere che pochissimi veronesi sappiano dell’esistenza di Rufina Ruffoni, scrittrice di nobili origini vissuta nella nostra città e specialmente nella villa detta “La Pavarana”, sulla strada che da Romagnano sale ad Azzago, tra l’inizio e gli ultimi decenni del secolo scorso. Dall’idea che di lei ci siamo fatti leggendo il libro di Elisabetta Zampini, Sognando un dolce andare-Rufina Ruffoni: una grande poetessa dimenticata, non crediamo che alla nobildonna sarebbe dispiaciuto molto. La sua vita fu consegnata alla solitudine e alla poesia; pubblicò un solo libro, intitolato appunto Sognando un dolce andare, nel 1950, un canzoniere poetico di grande interesse, che oggi Zampini ci fa riscoprire.
L’autrice ricostruisce prima di tutto l’ambiente che favorì il sorgere di quella esperienza poetica, quello della dimora antica e solitaria della Valpantena, esemplare locus amoenus, il cui incanto ci fa risalire alle atmosfere di Petrarca, Boccaccio, Lorenzo de’ Medici, Tasso. Del tutto naturalmente, vi inserisce la figura dolce e sensibile di Rufina e della sua famiglia; in primo luogo la madre (che era nipote di Alfredo Piatti, il violoncellista che conquistò Londra), anima di un cenacolo culturale che comprendeva poeti, pittori e musicisti tra i più interessanti degli anni Venti e Trenta del Novecento veronese: tra gli altri, il poeta e critico letterario Lionello Fiumi, il pittore Angelo Zamboni.
Il cuore del libro è proprio l’armonia tra i luoghi e l’arte, tra la natura e la cultura, quasi che uno non possa esistere senza l’altro. Ma un’altra necessaria simbiosi sembra emergere tra le pagine del libro, quella tra le stanze e il giardino della Pavarana e la stessa scrittrice, tanto che non riusciamo a immaginarci Rufina al di fuori da quei viali ornati dai cipressi e da quelle sale silenziose e raccolte. Proprio come Emily Dickinson, giustamente evocata dalla Zampini, anche Rufina “abitava nella possibilità”, tra le dimensioni del ricordo e del sogno, proprie della poesia e custodite dal luogo caro. Nonostante vivesse tanto appartata, non v’è da credere che Rufina ignorasse le novità della cultura moderna. Le sue liriche, alle quali Zampini riserva un’analisi puntuale nell’ultima parte del libro, si iscrivono nell’aura poetica delle grandi avanguardie europee del primo Novecento, specialmente del Futurismo il cui Manifesto venne pubblicato sulle pagine de L’Arena.
Ha scritto Yves Bonnefoy, il grande poeta francese da poco scomparso: “Il compito della poesia è tornare verso ciò che è già stato pensato o scritto per trovare degli aspetti di noi stessi ancora inespressi”. Il libro di Elisabetta Zampini, insignito del prestigioso Premio Letterario Vassalini dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, risponde a tale elevato compito della poesia e della critica letteraria.

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