Il Fatto di Bruno Fasani
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Sui drammi dei migranti l’ipocrisia della politica

Non entrerò nel merito politico della vicenda Aquarius, la nave con 629 disperati provenienti dalla Libia, in cerca di speranza. Chi ha votato da una certa parte sarà contento, ovviamente. Talmente contento da permettersi di coprire di insulti il cardinale Gianfranco Ravasi, reo di aver citato quel passo di Matteo, 25 in cui si ricordano le parole di Gesù: “Ero forestiero e mi avete accolto”...

Parole chiave: Il Fatto (417), Bruno Fasani (325), Aquarius (2), Immigrati (12)

Non entrerò nel merito politico della vicenda Aquarius, la nave con 629 disperati provenienti dalla Libia, in cerca di speranza. Chi ha votato da una certa parte sarà contento, ovviamente. Talmente contento da permettersi di coprire di insulti il cardinale Gianfranco Ravasi, reo di aver citato quel passo di Matteo, 25 in cui si ricordano le parole di Gesù: “Ero forestiero e mi avete accolto”.
Dall’altra parte c’è invece lo stuolo di chi non gli pare vero di sfruttare all’opposizione una vicenda che sta lacerando la coscienza di tanta gente. L’importante che il sussulto di coscienza sia sincero. Sarebbe davvero triste se davanti a questa vicenda dovessimo dire che qualcuno fa proclami a sinistra con il cuore a destra.
C’è infine una terza categoria, che è quella che mi ha spinto a buttare giù queste righe. È la categoria degli ipocriti, quelli che predicano bene e razzolano male. Il portavoce di Macron, l’esteticamente presentabile presidente francese, ha detto che il presidente denuncia il “cinismo” e “l’irresponsabilità” delle politiche adottate sui migranti, mentre il portavoce del suo partito, Gabriel Attal ha detto testualmente: «Considero la linea del governo italiano vomitevole. È inammissibile giocare alla politica con delle vite umane. Lo trovo immondo». Bravò ci verrebbe da dire, con l’accento sulla “o”, come dicono da quelle parti. Ma la memoria ce lo impedisce.
Era il 15 marzo scorso quando a Torino moriva una giovanissima signora nigeriana, mentre dava alla luce il suo bambino prematuro. Con il marito aveva cercato di attraversare la frontiera in cerca di fortuna. Gravida e stremata, aveva camminato tra la neve verso Bardonecchia. Qui l’avevano respinta di brutto. Se ne tornasse da dove era venuta, fu la decisione dei gendarmi che l’avevano vista sfinita e malata. Fu in quell’occasione che la grandeur francese raccontò al mondo il meglio di cui era capace, ossia che non si muore soltanto su un gommone insicuro e stracarico, ma anche andando a sbattere contro i muri della politica e delle sue chiusure. Del resto per mesi, prima che il vescovo di Ventimiglia intervenisse dando soluzione al problema, gruppi di disperati avevano vissuto sugli scogli della città ligure, abbarbicati come anfibi senza casa, con lo sguardo fisso a quel confine che era diventato la fine del mondo. Che si trattasse di una scelta politica, cinica e irresponsabile del governo francese, ce lo avrebbe confermato anche un altro episodio. Nella notte tra il 10 e l’11 marzo la guida alpina Benoit Duclois ha soccorso a 1.900 metri di quota sul Monginevro una nigeriana all’ottavo mese di gravidanza che insieme al marito e ai figli di 2 e 4 anni stava attraversando di notte, tra muri di neve, il confine italo-francese. Portata a valle in preda alle doglie, ha partorito all’ospedale di Briançon. Ma Benoit è stato denunciato, accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e traffico di esseri umani.
Agli amici francesi, oltre un sussulto di umanità vorremmo chiedere almeno il pudore del silenzio.

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