Il Fatto di Bruno Fasani
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Ripartire dalle radici cristiane per camminare ancora insieme

Capita sempre più spesso di sedere a tavola coi moralisti. Non la tavola della convivialità, ma quella delle lamentazioni, dove si servono piatti di rimpianto, di riprovazione e di analisi senza speranza. E quasi sempre finendo per addossare le colpe alla società, nuovo capro espiatorio, in versione contemporanea. Quando va bene è colpa dei politici, ma anche questo ormai è diventato logoro luogo comune...

Parole chiave: Il Fatto (417), Bruno Fasani (325)

Capita sempre più spesso di sedere a tavola coi moralisti. Non la tavola della convivialità, ma quella delle lamentazioni, dove si servono piatti di rimpianto, di riprovazione e di analisi senza speranza. E quasi sempre finendo per addossare le colpe alla società, nuovo capro espiatorio, in versione contemporanea. Quando va bene è colpa dei politici, ma anche questo ormai è diventato logoro luogo comune. È vero che molti tra loro sono tipetti dalla schiena dritta, che non conoscono la parola sudore, ma non più di tanti comuni cittadini pronti a far carte false per una invalidità fasulla, abilissimi a timbrare cartellini prima di andare a giocare a tennis, disposti a tutto pur di arraffare quattro soldi. Ci sono perfino medici che spaccano i femori per far pratica e danno disposizioni di guarire parzialmente i loro pazienti, pur di garantirsi il lavoro nel prossimo futuro.
Di chi la colpa, allora? Si fa presto a scaricare di qua e di là il peso del peccato, salvo ritirarsi nel privato quando si tratta di porvi rimedio. Quando si va a rivisitare la storia, emerge un dato di fatto che forse ci aiuta a capire meglio il tempo in cui viviamo. È una costatazione che ogni epoca, segnata da emergenze di vario genere, è stata in grado di costruirsi un immaginario collettivo, ossia una serie di convinzioni, di aspirazioni, di principi condivisi capaci di mettere insieme il popolo, sia pure nelle naturali contrapposizioni ideologiche.
Giusto per fare qualche esempio e per stare più vicino a noi, penso al Risorgimento e all’idea di una Italia unita, al valore di una bandiera che, a Reggio Emilia, divenne simbolo, per la prima volta, di una nuova realtà politica. Penso alla Prima Guerra mondiale, ingiusta come tutte le guerre, ma anche agli ideali che misero insieme soldati di ogni parte del Paese, convinti di un destino migliore per sé e per le loro famiglie. Penso agli anni Sessanta, gli anni del boom economico e allo slancio di una piccola Italia che, grazie alla sua alacrità, divenne la quinta grande potenza economica del pianeta. Penso infine, con tutte le sue contraddizioni, agli anni Settanta, anni degli hippy e dei fiori, del radicalismo che mandò a gambe all’aria tanti principi fino ad allora ritenuti immutabili. Bene o male che sia, furono anni segnati da un nuovo immaginario collettivo.
Oggi quale nuovo immaginario ci unisce? Nessuno, cari lettori. Ognuno fa per sé, dentro una cultura individualistica dove il noi sembra scomparso dall’orizzonte. I diritti soggettivi hanno preso il sopravvento su qualsiasi, pur minima, idea di dovere. Si vive da soli e si muore ancora più soli, senza identità che mettano insieme generazioni diverse, Nord e Sud, partiti politici… Ognuno per la propria strada verso un destino che, salvo spintarelle della Provvidenza, sembra segnato nei propri esiti. E se ripartissimo dalle nostre radici cristiane raccontate come Dio comanda?

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