Il Fatto di Bruno Fasani
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Quello che insegna la vicenda di Pietro Maso

La giornalista di una Tv nazionale mi chiedeva nei giorni scorsi il perché del disagio della gente nel commentare la vicenda di Pietro Maso, tornato improvvisamente alla ribalta, suo malgrado. In effetti, se si eccettua qualche protagonismo interpretativo, ad uso pubblicitario, sulla scena rimane un alone di inquietudine che suggerisce i toni defilati della discrezione e del silenzio...

Parole chiave: Pietro Maso (1), Il Fatto (416), mons. Bruno Fasani (19)

La giornalista di una Tv nazionale mi chiedeva nei giorni scorsi il perché del disagio della gente nel commentare la vicenda di Pietro Maso, tornato improvvisamente alla ribalta, suo malgrado. In effetti, se si eccettua qualche protagonismo interpretativo, ad uso pubblicitario, sulla scena rimane un alone di inquietudine che suggerisce i toni defilati della discrezione e del silenzio.
Esattamente 25 anni dopo quel 17 aprile del ’91, in cui Maso sterminò i suoi genitori, e dopo 22 anni di carcere, ci troviamo ancora davanti ad un uomo sconfitto, prigioniero della droga e incapace di ritrovare la bussola della normalità. Ma torniamo alla domanda di partenza, ossia quella sul disagio della gente, perché è da qui che bisogna partire per capire la valenza simbolica della vicenda di questo uomo.
Pietro Maso mette a disagio le coscienze perché rappresenta il fallimento del percorso educativo della cultura del nostro tempo. Non tanto quello dei suoi genitori e neppure quello di una comunità locale, penalizzando in maniera qualunquistica ed arbitraria una paese e una famiglia. Se accanto alla vicenda di Maso siamo qui a raccontarci, con i brividi lungo il corpo, la folle cronaca romana, in cui due giovani ammazzano un amico per “vedere che effetto fa veder morire un uomo”, vuol dire che c’è qualcosa che non torna più nell’impianto educativo di una società.
Un dissesto morale, da cui fa capolino la follia. Quella dei bulli, degli sfasciatori di professione, dei violenti, dei sedicenti tifosi, figli dell’aggressività degenerata, dei frequentatori dello sballo, convinti di divertirsi da morire, finendo per morire davvero, dei, dei… I figli del vietato vietare, cresciuti con la convinzione che alla greppia della società dei mercati bastasse dare loro delle cose per farli diventare grandi. Figli di papà in una società di maschi non più padri, di una politica disposta a cedere su tutto, pur di portar a casa qualche voto di scambio. Una cultura sempre più piegata a barattare la persona umana con la zoologia, fino agli uteri in affitto e al mercato dei bimbi, perdendo di vista la sacralità della creatura e il rispetto ad essa dovuto. Cari lettori, quando mai troveremo insieme la forza per dire basta, senza sentirci dare dei fascisti? Quando mai avremo la forza per ribellarci al conformismo del politicamente corretto, chiedendo a chi è in Parlamento di interessarsi della gente prima ancora che dei mercati? Una società che ha perduto di vista un serio progetto educativo dovrà inevitabilmente rassegnarsi a fare i conti con generazioni di nuovi selvaggi, per quanto dotati di competenze, capaci di viaggiare, usare le lingue e il digitale. È il cuore umano che è diventato malato. Un cuore fatto di pensieri, di emozioni, di sentimenti, di fede… È lì dentro che bisogna tornare ad investire, prima che Maso diventi una maschera o un ritornello, dietro al quale nascondere il fallimento di tante nuove esistenze.

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