Il Fatto di Bruno Fasani
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Quando da una Messa fiorisce una polemica

Tutto succede a Desenzano, aristocratica e abbiente località a Sud del Lago di Garda. È il primo maggio 2015. Il sindaco della città, la signora Rosa Leso, in quota al Pd, ma cattolico di solide radici, ha un duplice appuntamento da onorare. Da una parte scadono i cinquant’anni della parrocchia di San Giuseppe Lavoratore. Già il nome la dice lunga...

Parole chiave: Il Fatto di mons. Bruno Fasani (46)

Tutto succede a Desenzano, aristocratica e abbiente località a Sud del Lago di Garda. È il primo maggio 2015. Il sindaco della città, la signora Rosa Leso, in quota al Pd, ma cattolico di solide radici, ha un duplice appuntamento da onorare. Da una parte scadono i cinquant’anni della parrocchia di San Giuseppe Lavoratore. Già il nome la dice lunga. Una parrocchia che ha come patrono questo Santo e con questo titolo, dentro uno scenario dove il terziario consente un alto tenore di vita, dovrebbe essere cosa su cui meditare per trovare spunti sociali di ispirazione.
Alla festa, com’è nelle cose, c’è anche il vescovo della Diocesi di Verona da cui Desenzano dipende, anche se la festa di una parrocchia non è la festa del vescovo. È festa della gente unita al suo pastore, caso mai. Festa di popolo come piace molto a certa Sinistra, che di popolo, a parole, sostiene di nutrirsi a colazione, pranzo e cena. Sta di fatto, che la signora sindaco pensa sia suo dovere stare sia coi cittadini che non disdegnano di ricordarsi d’essere cristiani, così come con quelli che amano sfilare a favore del lavoro, come da copione operaista, tra slogan e bandiere monocrome.
Ed è a questa parte che non sembrano essere particolarmente simpatiche le devozioni al Santo Lavoratore. Tant’è vero che dopo aver aspettato il sindaco, in ritardo sulla tabella di marcia, perché impegnato in chiesa, abbordano il cronista di turno per denunciare la strumentale, almeno secondo loro, partecipazione del primo cittadino al rito religioso. “Riteniamo indecoroso e irrispettoso che si ritardi la festa del 1° Maggio per permettere a sindaco e giunta di soddisfare la loro voglia di visibilità”, dichiarano senza tanti preamboli di cortesia. Ad esprimere tanta indignazione sono quelli del Sel, ossia Sinistra, Ecologia e Libertà. Quelli del Nichi Vendola, per capirci.
Non voglio entrare nel merito di una querelle, messa in piedi per questione di orari. Ma penso che se lo sgarbo fosse solo una questione di ritardi sulla tabella di marcia, non si capisce perché sia voglia di visibilità andare ad una Messa e non altrettanto sfilare con qualche bandiera.
L’impressione è invece che dalla vicenda faccia capolino un impianto culturale ideologico frusto e datato, incapace di misurarsi con la diversità, soprattutto se con etichetta religiosa. Quella stessa cultura che sembra privilegiare la presa di distanza, polemica ad oltranza, per darsi un’identità non raggiungibile nei percorsi delle idee e del confronto. Neppure paragonabile alla condivisa umanità di Peppone e don Camillo, rivali di facciata ma in comunione nella sostanza.
Ho sempre creduto a un possibile socialismo evangelico, così come ho conosciuto partigiani ispirati da autentica passione cristiana. Eppure persiste una frontiera ideologica che sembra fare della contrapposizione e del rifiuto la cifra della propria identità. È a questa socialdemocrazia, a suo tempo fortemente pensata da Walter Veltroni, e per questo fatto fuori senza tanti complimenti, che tutti vorremmo guardare sognando un Paese di persone reciprocamente in ascolto e appassionate al bene comune. Un bene comune più grande di tutte le liturgie, siano esse religiose ma soprattutto partitiche.
Purtroppo è la logica della sgarbatezza ideologica quella che sembra prevalere non solo nelle dichiarazioni colorate e colorite degli sfilanti di Desenzano, ma anche in frange mai morte dentro il Parlamento, quelle che cercano lo scontro, magari pronte a mandare in piazza i discepoli a comando, contro le scuole dei preti o contro la morale “retrograda e tradizionalista” dei cattolici.
Un sussulto di asserita laicità, che, di fatto, è solo il bisogno di crearsi un nemico per sentirsi vivi.

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