Il Fatto di Bruno Fasani
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Le nuove dipendenze che non fanno colpo

Diceva Epicuro che la più grande ricchezza è bastare a se stessi. Chissà se tornasse ai nostri giorni cosa avrebbe da dire su una società in cui senza qualche aiutino non si fa più nulla...

Parole chiave: Il Fatto (417), Bruno Fasani (325)

Diceva Epicuro che la più grande ricchezza è bastare a se stessi. Chissà se tornasse ai nostri giorni cosa avrebbe da dire su una società in cui senza qualche aiutino non si fa più nulla. Si tira un po’ di coca per darsi la carica, si prende una pastiglia per fare l’amore, si trangugia un po’ di alcol per dimenticare o per sballare giusto per evadere dal quotidiano, si prende un po’ di doping per vincere nello sport, ci si imprigiona dentro una stanza, davanti ad un computer, per sentirsi insieme restando da soli.
Così va il mondo, tra una dipendenza e l’altra siamo diventati più poveri, perché fatichiamo a camminare con le nostre sole energie. E così la società è qui a fare i conti con nuove e vecchie dipendenze. A quelle classiche del passato, droga e alcol, abbiamo aggiunto quelle nuove, tecnologiche, sessuali, del divertimento...
Ma c’è un piccolo distinguo da precisare. Quasi sempre le nuove dipendenze si presentano meno allarmanti di quelle classiche del passato, quando un ubriacone ed un tossico si imponevano per la loro caricaturale e drammatica evidenza. Oggi chi si sentirebbe di dire che internet o Whatsapp sono pericolosi? Il Vaticano II chiamava strumenti meravigliosi i nuovi media e le loro possibilità. Oggi possiamo comunicare in diretta e senza spendere nulla con ogni parte dell’universo, diventato improvvisamente una piccola piazza dove scambiarci messaggi e immagini. Senza spendere un centesimo, grazie alla straordinaria efficienza della moderna tecnologia digitale. E ti prende uno stupore, che celebra l’intelligenza della creatura e il disegno remoto del Creatore che ha messo la semente di eternità nelle menti delle sue creature. Eppure anche dietro a questi strumenti si nasconde il pericolo della dipendenza, la quale arriva sommessa come un ladro e non aggredisce il fisico brutalizzandolo nei suoi tratti somatici. No, entra nella psiche, come un tarlo silenzioso che consuma l’essenza dell’equilibrio, lì dove si progettano l’esistenza e le relazioni umane. È il rischio sottile che la macchina si impadronisca del suo ideatore e del suo conduttore. Avviene quando l’uso, con tutti i vantaggi innegabili che consente, piano piano diventa abuso e quindi, nel tempo, dipendenza. Robert Trivers, nel suo libro Follia degli stolti sostiene che siamo tutti dei grandi bugiardi, perché ci autoinganniamo nella convinzione di aver il controllo sulle cose e sui mezzi, senza renderci in realtà conto d’essere trascinati dalla loro silenziosa potenza dentro i gorghi della dipendenza. Abbiamo inventato le ali, ma rischiamo di fare la fine di Icaro. Se c’è però una cosa che dovremmo gridare sulle piazze è il silenzio assordante nel quale la scuola e la società, in generale, lasciano le nuove generazioni. Pazienza per chi ha una certa anagrafe, peraltro non esente da rischi, ma i ragazzi che crescono con gli strumenti digitali come loro humus esistenziale avrebbero il diritto di avere il manuale di istruzione per affrontarli senza correre rischi, evitando di consegnare loro macchine capaci di travolgere il loro destino.

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