Il Fatto di Bruno Fasani
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La religiosità di Trump dai chiari scopi politici

Non scandalizza più di tanto che sul biglietto verde degli americani ci sia scritto In God we trust, ossia noi confidiamo in Dio. I moralisti potrebbero farla breve dicendo che da quelle parti si crede più nel dio palanca che in quello del cielo. Sarà anche in parte vero, ma la verità non è proprio così. E comunque non siamo ancora al peggio, considerato che un certo Hitler avanzava col motto Got mit uns, ossia Dio è con noi. Buon per lui che ne era convinto...

Parole chiave: Bruno Fasani (323), Il fatto (415), Trump (11)

Non scandalizza più di tanto che sul biglietto verde degli americani ci sia scritto In God we trust, ossia noi confidiamo in Dio. I moralisti potrebbero farla breve dicendo che da quelle parti si crede più nel dio palanca che in quello del cielo. Sarà anche in parte vero, ma la verità non è proprio così. E comunque non siamo ancora al peggio, considerato che un certo Hitler avanzava col motto Got mit uns, ossia Dio è con noi. Buon per lui che ne era convinto.
Per venire a noi fa effetto vedere il neo presidente Trump giurare su due Bibbie il giorno del suo insediamento. L’una, storica, sulla quale giurò per primo Abramo Lincoln, la seconda quella ricevuta dalla madre per le sue frequentazioni nella chiesa presbiteriana. In god we Trump, hanno chiosato i soliti moralisti in tempi record, dove non si capisce bene se god (dio) vada inteso in senso minuscolo come sinonimo del nuovo padrone della Casa Bianca, o non si alluda piuttosto all’ostentata religiosità manifestata dal presidente nei primi giorni del suo mandato. Certo, fa un certo effetto vedere un signore che vanta una vita morale non proprio ineccepibile, che parla degli immigrati come se fossero un’invasione di cavallette, che dà delle cagne alle donne, che promette muri tra gli Stati, che auspica il dissolvimento dell’Europa come entità politica… giurare su due Bibbie e recarsi zelante alla Messa con la terza moglie, come un devotissimo praticante. Un dio strano quello di Trump, se mai i due fossero in grado di condizionarsi in un rapporto di reciprocità. In realtà, per capire questi gesti, che di religioso hanno poco, bisogna procedere con una lettura politica, facendo un salto indietro di almeno due secoli abbondanti. L’America, dopo la sua scoperta da parte degli europei, era sempre stata, da un punto di vista culturale e religioso, una colonia dell’Europa o, se volete, una Europa allargata. Cristiana doc, sia pure nelle due componenti, cattolica e protestante, quest’ultima coniugata nei mille rivoli delle sottodivisioni delle chiese riformate.
Sarà la Rivoluzione francese, col suo tentativo di annientare la cultura cristiana, a favorire la nascita degli Stati Uniti come realtà soggettiva autonoma nella propria identità, politica e culturale. Se l’Europa decideva di votarsi al suicidio rinnegando le proprie radici, la nuova America si organizzava sui fondamenti di una democrazia che metteva Dio come riferimento cui guardare. Lo dissero come scelta politica e lo scrissero anche sulla faccia dei dollari.
Ed è proprio in nome di un nazionalismo che si vorrebbe non contaminato, che Trump rispolvera una religiosità che di religioso ha ben poco, se non per la spinta in senso identitario che essa potrebbe dare alla sua azione politica. Parigi vale bene una Messa, ebbe a dire Enrico IV di Borbone, protestante, che si votò al cattolicesimo pur di diventare re. Mutatis mutandis...

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