Il Fatto di Bruno Fasani
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La follia che scatenano i seminatori di tempesta

Ancora non sappiamo cosa abbia spinto un giovane di ventisette anni ad entrare in una moschea di Quebec City, in Canada, ed uccidere sei persone e ferirne gravemente altre otto. Follia? Fanatismo ideologico-religioso?

Parole chiave: Il Fatto (415), Bruno Fasani (323), Quebec (1), Strage (3)

Ancora non sappiamo cosa abbia spinto un giovane di ventisette anni ad entrare in una moschea di Quebec City, in Canada, ed uccidere sei persone e ferirne gravemente altre otto. Follia? Fanatismo ideologico-religioso? Non sappiamo. L’unica cosa che sappiamo è che questo episodio costituisce una specie di inaugurazione della legge del taglione. Nutro la speranza d’essere smentito, ma il dubbio è più forte di qualsiasi ragionamento. Tanto più che, geograficamente parlando, un po’ più sotto al Canada, un neo-presidente di cui faccio fatica a pronunciare il nome sta riportando indietro le lancette della storia. È sempre l’eccesso che fa da volano alle menti più fragili, come ci confermano anche le esternazioni di un satrapo nostrano che dichiara su twitter: «Tutti lo attaccano, come si fa a non volergli bene?». Il fatto è che l’aggressività pacifica di Trump, ossia il modo istituzionale di nascondere il fascismo che si porta dentro, si sta rivelando una miccia straordinaria per quanti hanno bisogno di fare la guerra per sentirsi vivi. Del resto le uniche dichiarazioni rilasciate dall’assassino sono state inequivocabili e lapidarie: «I miei miti sono Trump e Marine Le Pen». Ognuno tiri le conclusioni.
A me la strage di Quebec City fa male e per tante ragioni. Mi fa male per ragioni di orgoglio, prima ancora che per motivazioni religiose. Mi fa male perché ho l’orgoglio di appartenere a quella bimillenaria civiltà cristiana, che si identifica con la legge del pluralismo e del rispetto per ogni singola persona e provo disagio quando penso che, nel corso dei secoli, qualcuno abbia potuto tradire questa ispirazione. Mi ferisce nell’orgoglio perché non sarò mai disponibile per una cultura che si compiace nel fare il male al proprio prossimo. La violenza e la morte non mi appartengono e non accetterò mai che qualcuno, sia esso politico o altro, mi proponga la demagogia dell’intolleranza e dello scontro. È una questione di civiltà, prima ancora che di fede.
Ma la strage di Quebec City mi fa male se penso che è stata consumata contro dei fratelli a motivo della loro identità religiosa. Se mai questa fosse la ragione, sarò il primo a scendere in piazza al loro fianco. Per affermare lo stile che è richiesto ad un cristiano, libero da tentazioni di rivincita e di vendetta, a fronte di possibili torti subiti. Quando nel cuore di un cristiano si coltiva il veleno del rancore, con la pace del cuore si seppellisce anche la sua identità spirituale e religiosa. Ma scenderò in piazza anche per affermare il principio della libertà di coscienza. Se è vero che la cultura contemporanea ci consegna un individualismo capitalista, dove ognuno fa ciò che crede secondo il proprio interesse personale, il Vangelo ci regala invece il rispetto della individualità, che esalta il valore della persona, senza farne un idolo fine a se stesso.

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