Condiscepoli di Agostino
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La dolcezza dello Spirito è destinata a tutti i popoli

La lettura dei libri dei Platonici fu salutare ad Agostino. Un testo, di straordinaria bellezza, merita di essere riportato: “Ammonito da quegli scritti di tornare in me stesso, entrai nella mia interiorità. Entrai e vidi con l’occhio della mia anima, quale che fosse la sua condizione, e vidi al di sopra del mio stesso occhio dell’anima, sopra la mia intelligenza, una Luce immutabile, non questa luce di cui fruiscono tutti, visibile ad ogni carne, né una luce del medesimo genere, ma più grande, come se questa splendesse assai di più, e con la sua grandezza occupasse ogni realtà...

Parole chiave: Mons. Giuseppe Zenti (309), Vescovo di Verona (245)

La lettura dei libri dei Platonici fu salutare ad Agostino. Un testo, di straordinaria bellezza, merita di essere riportato: “Ammonito da quegli scritti di tornare in me stesso, entrai nella mia interiorità. Entrai e vidi con l’occhio della mia anima, quale che fosse la sua condizione, e vidi al di sopra del mio stesso occhio dell’anima, sopra la mia intelligenza, una Luce immutabile, non questa luce di cui fruiscono tutti, visibile ad ogni carne, né una luce del medesimo genere, ma più grande, come se questa splendesse assai di più, e con la sua grandezza occupasse ogni realtà. Non era però una luce come questa, ma qualche cosa di diverso, di molto diverso da tutte le altre. Quella luce non stava neppure al di sopra della mia intelligenza, come l’olio sta sopra l’acqua o il cielo sta sopra la terra, ma stava sopra di me in quanto mi aveva creato e io stavo sotto di essa in quanto sono stato da essa creato. Chi conosce la Verità conosce quella Luce, e chi conosce quella Luce conosce l’Eternità. L’amore la conosce. O eterna Verità, vera carità e cara eternità! Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno a notte. Quando ti ho conosciuto per la prima volta, mi hai innalzato a Te [...] mi sembrava di udire la tua voce dall’alto che diceva: «Io sono il cibo dei grandi. Cresci e ti nutrirai di me. Tu non trasformerai me in te come il cibo della tua carne, ma sarai tu ad essere trasformato in me»”.
Da notare che tutto è partito dalla decisione di rientrare in se stesso. Tuttavia, ad Agostino mancava ancora la condizione stessa per la conversione: l’umiltà, come egli stesso riconosce: “Per poter possedere il mio Dio, Cristo Gesù che si era fatto umile, io non mi ero ancora fatto umile”.
E siamo giunti nel 386 d.C. Che cosa stava passando nell’animo di Agostino viene da lui confidato nel libro VIII de Le Confessioni. Un capolavoro, anche sotto il profilo della psicologia. Sempre con l’animo rivolto al Dio della misericordia, intende narrare come Dio ha spezzato in lui le catene morali che lo vincolavano soprattutto al vizio della lussuria. A tal fine gli furono determinanti due fatti. Il primo: dopo aver cercato invano di avvicinare per un colloquio il vecchio padre spirituale del vescovo Ambrogio, Simpliciano, finalmente riuscì nell’intento. Venuto a sapere da Agostino che aveva letto molti libri dei Platonici tradotti in latino da un maestro di retorica di Roma, Mario Vittorino, gli confidò di averlo conosciuto bene: dottissimo, maestro di tanti nobili senatori, giudicato di alte virtù. Dopo aver difeso il paganesimo con vigorosa animosità, si era convertito a Cristo, pur tenendosi abbastanza nascosto come cristiano per non creare problemi con gli amici. Ma ad un certo punto chiese a Simpliciano di portarlo in chiesa per farsi cristiano. E finalmente, davanti all’assemblea liturgica della notte di Pasqua, fu battezzato.
Se dunque molti, come Vittorino, erano riusciti a venir fuori da un Tartaro infernale per ritornare a Dio, “allora, Signore, muoviti, risvegliaci, richiamaci, accendici, rapiscici, infiammaci e facci sentire la tua dolcezza: amiamo e corriamo”. Vorrebbe correre spiritualmente per sentirsi finalmente libero dai ceppi dei vizi, come i grandi convertiti ed essere anche lui motivo di gioia per tante persone. Ripensando alla vicenda di Mario Vittorino che aveva abbandonato tutto per dedicarsi a Dio, Agostino si sentì ardere dal desiderio di imitarlo, “ma ero legato da catene non imposte da altri, bensì dalla mia ferrea volontà”.

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