Condiscepoli di Agostino
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Il pelagianesimo dei nostri tempi

Sulla necessità della grazia di Dio per la realizzazione della persona umana la fede della Chiesa è inequivocabile, fin dalle sue origini. Il patrimonio della fede cristiana afferma che “anche la nostra esistenza terrena e le nostre capacità naturali sono un dono” (GE 55), compresa la nostra libertà (cfr ivi).

Sulla necessità della grazia di Dio per la realizzazione della persona umana la fede della Chiesa è inequivocabile, fin dalle sue origini. Il patrimonio della fede cristiana afferma che “anche la nostra esistenza terrena e le nostre capacità naturali sono un dono” (GE 55), compresa la nostra libertà (cfr ivi).
Purtroppo, anche taluni cristiani, ammaliati da un umanesimo del tutto orizzontale e storico, seguono un’altra strada rispetto a quella del riconoscimento della necessità della grazia di Dio per salvare e realizzare in pienezza l’uomo: “quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella della adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore” (GE 57). Papa Francesco non esita ad esemplificare gli atteggiamenti che rivelano il neopelagianesimo nell’oggi della Chiesa: “l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione della cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto aiuto e di realizzazione autoreferenziale” (ivi). E prosegue l’analisi dei possibili sconfinamenti nel neopelagianesimo: “Molte volte, contro l’impulso dello Spirito, la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi. Questo accade quando alcuni gruppi cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme proprie, di costumi o stili” (GE 58). In tal modo, precisa il Papa, si toglie al Vangelo quel respiro vitale di cui ha bisogno l’uomo per essere salvato e realizzato. E non teme di mettere allo scoperto le tentazioni che avvincono anche gruppi, movimenti e comunità cristiane: “È  forse una forma sottile di pelagianesimo, perché sembra sottomettere la vita della grazia a certe strutture umane. Questo riguarda gruppi, movimenti e comunità, ed è ciò che spiega perché tante volte iniziano con un’intensa vita nello Spirito, ma poi finiscono fossilizzati o corrotti” (ivi). E affondando sempre più il bisturi nella piaga da risanare dell’autoreferenzialità umana, aliena dalla grazia di Dio, precisa che “per il fatto di pensare che tutto dipende dallo sforzo umano incanalato attraverso norme e strutture ecclesiali, complichiamo il Vangelo e diventiamo schiavi di uno schema che lascia pochi spiragli perché la grazia agisca” (GE 59). Per rafforzare questo convincimento, il Papa si appella a san Tommaso d’Aquino, secondo il quale “i precetti aggiunti al Vangelo da parte della Chiesa devono esigersi con moderazione ‘per non rendere gravosa la vita ai fedeli’, perché così si muterebbe la nostra religione in una schiavitù” (ivi). Infine, a completamento delle osservazioni circa il neopelagianesimo, papa Francesco invita a ricordare “che esiste una gerarchia delle virtù che ci invita a cercare l’essenziale. Il primato appartiene alle virtù teologali, che hanno Dio come oggetto e motivo. E al centro c’è la carità” (GE 60). E per chiarire ulteriormente il suo pensiero, insiste sui due volti dai quali l’amore deve lasciarsi attrarre: “in mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni, Gesù apre una breccia che permette di distinguere due volti, quello del Padre e quello del fratello [...]. In ogni fratello, specialmente nel più piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è presente l’immagine stessa di Dio. Infatti, con gli scarti di questa umanità vulnerabile, alla fine del tempo, il Signore plasmerà la sua ultima opera d’arte” (GE 61). Da quanto chiarito fin qui, si comprende perché papa Francesco elevi a Dio la sua invocazione accorata perché “il Signore liberi la Chiesa dalle nuove forme di gnosticismo e di pelagianesimo che la complicano e la fermano nel suo cammino verso la santità” (GE 62).

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