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Polvere di stelle

Chi nel conclave entra papa esce cardinale, si dice a Roma. E così è avvenuto. Tutti prevedevano una vittoria di Hillary Clinton come nuovo presidente degli Stati Uniti. Invece è avvenuto l’opposto: ha vinto Donald Trump.

Parole chiave: Editoriale (380), Renzo Beghini (62), Stati Uniti (2), Presidente (13), Trump (11)

Chi nel conclave entra papa esce cardinale, si dice a Roma. E così è avvenuto. Tutti prevedevano una vittoria di Hillary Clinton come nuovo presidente degli Stati Uniti. Invece è avvenuto l’opposto: ha vinto Donald Trump. I principali modelli di previsione, i guru dei sondaggi, i maghi delle statistiche (FiveThirtyEight, UpshotNYT, Princeton, Predictwise, centri studi con i fiocchi e solo per citarne alcuni) avevano dato per certa la vittoria della Clinton sostenuta dagli afroamericani, dai latinos e dalle donne. «Non sparate al sondaggista», ripete Nando Pagnoncelli. La metafora ben descrive il grande abbaglio: «Non siamo oracoli. Diamo i numeri, ma qualcuno deve capirli».
Il problema è proprio questo. Ciò che i principali network americani ed europei hanno scritto e detto sulle elezioni americane, ha mostrato l’ingannevole attendibilità dei media. È l’estremo saluto del quarto potere.
E dire che la Clinton aveva dalla sua i più grandi giornali ed emittenti televisive. Un amico che lavora per la Cnn, ha contato ben 475 gruppi editoriali che sostenevano il candidato democratico. Una corazzata mediatica con un volume di fuoco impressionante. Quelli che tifavano per Trump invece, erano solamente nove. Poco più di un canotto, in confronto.
Per tutta la campagna presidenziale, la Clinton è stata descritta dai più importanti giornali stelle e strisce (e per la verità anche italiani), come sicuro 45° presidente Usa. La prima donna alla Casa Bianca.
Al tempo stesso, Trump è stato presentato come un cafone. Un rozzo cavernicolo con un programma elettorale fascista. Un razzista interessato soltanto alle femmine.
Piaccia o no, Trump ha parlato alla pancia della gente. E la gente lo ha votato. In molti turandosi il naso, è vero. Ma lo hanno votato. È riuscito a intercettare la contestazione della classe media in declino; il malcontento per il blocco della mobilità sociale; la protesta contro le molte e mancate promesse di cambiamento da parte dell’establishment al potere.
La questione non è se stare con Trump o contro Trump. La vera questione è la capacità o meno di leggere la realtà. E la vita della gente. La Clinton e i Democratici, i giornali e i media non sono riusciti a intercettare le fatiche e le domande, a parlare della e con la gente.
Le elezioni Usa hanno reso evidente che dei sondaggi non c’è da fidarsi; che serve a poco avere dalla propria i grandi media; che spesso la realtà è molto diversa da quella che immaginiamo.
Ma c’è un dato che emerge su tutti: la comunicazione politica e giornalistica oggi cerca più di influenzare che raccontare. È uno strumento, meglio: un potere in mano di chi cerca di condizionare le scelte, i costumi, gli stili di vita. In tutto questo però attenzione alle voci che raccontano le vere storie e speranze della gente. Sono voci scomode e pericolose. Lo ripete spesso papa Francesco: «Quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla; ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità, non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli».
La sfida della comunicazione (e della politica) passa da qui: dalla capacità o meno di raccontare, interpretare, spiegare la vita della gente. Ma si badi: il problema non riguarda solo chi scrive i giornali, riguarda anche chi li legge. E chi in edicola li sceglie.

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