Condiscepoli di Agostino
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La presenza orante della madre nella crisi manichea di Agostino

A Cartagine Agostino aveva conosciuto un vescovo manicheo, Fausto, uomo colto, forbito nel parlare al punto da attirare la sua ammirazione. Gli riuscì di fissare un appuntamento con Fausto. Lo attendeva con ansia. Aveva un pacchetto di questioni da sottoporgli...

A Cartagine Agostino aveva conosciuto un vescovo manicheo, Fausto, uomo colto, forbito nel parlare al punto da attirare la sua ammirazione. Gli riuscì di fissare un appuntamento con Fausto. Lo attendeva con ansia. Aveva un pacchetto di questioni da sottoporgli. Si attendeva risposte all’altezza delle esigenze della sua mente acuta e mai sazia se non della verità autentica. Fausto: amabile nel tratto, piacevole nel parlare più di ogni altro. Tuttavia lo stesso Fausto non si vergognò di riconoscere la propria ignoranza e l’impreparazione a rispondere a molte delle domande che gli rivolgeva Agostino. Più un affabulatore autodidatta che un pensatore. In questo stato d’animo di delusione, Agostino decise di lasciare Cartagine per Roma. Sua madre, che “fiumi di lacrime” versava ogni giorno per il figlio, giunta a Cartagine per stare con il figlio, manifestò la sua disapprovazione che lasciasse quella città. Agostino però la ingannò. E, di nascosto, salpò di notte. Giunto a Roma fu colpito da una grave malattia, con febbre altissima. Ospite di un manicheo, temeva di morire in stato di peccato. Sua madre non sapeva nulla della sua malattia, ma pregava per lui. Sua madre! Nella rievocazione che ne fa frequentemente, la vede nell’atto di ottenere da Dio la grazia della guarigione, pensando che “se il cuore di mia madre fosse stato colpito da una tale ferita, non avrebbe più potuto guarire”. E seppe riconoscere quanto maggiore era “il travaglio con cui mi partoriva nello spirito, rispetto a quello con cui mi aveva partorito nella carne”. Appunto nella rievocazione di quel momento drammatico per sua madre, Agostino così si esprime, profondamente commosso: “E Tu, Dio delle misericordie, avresti mai potuto disprezzare un cuore contrito e umiliato di una vedova casta e saggia, che faceva frequenti elemosine, che era ossequiente e devota ai tuoi santi, che non lasciava passare nessun giorno senza portare una offerta al tuo altare, e che due volte al giorno, mattina e sera, senza interruzione andava nella tua chiesa, non per ascoltare e scambiare chiacchiere vane e da vecchierelle, ma per ascoltare Te nei tuoi discorsi e per farsi ascoltare da Te nelle sue preghiere? Avresti Tu potuto disprezzare e rifiutare il tuo aiuto alle lacrime di una donna come questa, che con esse chiedeva a te non oro o argento o altro bene mutevole e volubile, ma la salvezza dell’anima di suo figlio, proprio Tu che l’avevi fatta tale?”. Nel frattempo cominciò a farsi breccia nella sua mente il pensiero di alcuni filosofi detti Accademici, i quali erano convinti di dover sottoporre ogni idea al dubbio e di negare l’esistenza stessa della verità. Quella verità dalla quale i Manichei lo avevano allontanato, ma che ancora non era riuscito a trovare nella Chiesa. E si tormentava nello sforzo di trovare la verità autentica che lo avrebbe liberato dal demone di pensare Dio come una massa corporea infinita, che però non poteva aver creato il male considerato dal Manicheismo come una massa tetra ed informe. Insomma non era ancora in grado di uscire dalla dialettica tra Dio, Bene assoluto, massa corporea infinita e luminosa, e il male come massa tetra e informe. Contrapponeva il principio del bene al principio del male.
A Roma, dove aprì una scuola di retorica, sperimentò studenti disciplinati. Ma non erano affatto affidabili. Quando era il momento di pagare il docente, in massa facevano ammutinamento e si recavano da un altro docente.

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