Commento al Vangelo domenicale
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Gesù è il giusto, il compimento della legge

Matteo 5, 20-22a.27-28.33-34a.37

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno.

Gli slogan in genere non mi attirano, mi sembrano delle semplificazioni e, in qualche caso, perfino delle banalizzazioni di argomenti che invece meriterebbero di essere approfonditi.
Un’espressione del linguaggio ecclesiale che proprio non mi piace è “principi non negoziabili”, locuzione per anni alla ribalta delle cronache, oggi grazie ai “chiarimenti” di papa Francesco messa sommessamente a tacere.
La frase, coniata ai massimi livelli della Chiesa, si proponeva l’intento di stabilire l’assolutezza di determinati principi come la vita, la famiglia e la libertà di educazione, tuttavia non teneva nella dovuta considerazione quel primato della persona sui principi e sulle norme, che fa parte integrante dello specifico cristiano.
Infatti, tutto il Vangelo ci parla di Gesù che pone in primo piano ogni individuo che incontra, accogliendolo nella sua concretezza, con le sue difficoltà e con il suo vissuto dai risvolti talora drammatici.
La sottile tentazione di preferire un’impostazione religiosa che anteponga la Legge alla dignità delle persone e alla sacralità del loro cuore è, dunque, sempre dietro l’angolo. Le comunità cristiane di cultura giudaica, alle quali era indirizzato il Vangelo di Matteo, ben conoscevano l’assillo per l’osservanza della Legge da parte delle autorità religiose d’Israele, spesso ossessionate dal rispetto non solo dei comandamenti, ma anche di minuzie, di leggine, fatte apposta per compiacersi nella propria presunzione farisaica.
Religione del “do ut des”, perfetta per aggiustare la coscienza, pagando il dovuto al gran Contabile, spogliata però delle ragioni del cuore, privata dell’incontro personale con un Dio che ha il volto di un padre, di una madre e di un amico. Religione mutata geneticamente, trasformata in prigione e la peggiore che possa esistere!
Matteo stesso, il pubblicano conquistato da Cristo e liberato dall’oppressione del giudizio dei benpensanti di allora, sapeva bene cosa intendeva dire il Signore, quando affermava: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli».
In queste domeniche Gesù nel suo discorso sul monte delinea i tratti propri del discepolo, chiamato alla felicità, a essere sale e luce, oggi a sognare in grande e a lasciarsi “custodire” dai comandamenti, come ci ricorda nella prima lettura l’autore del libro del Siracide.
Il Signore, a scanso di equivoci, mette subito in chiaro che egli «non è venuto ad abolire la Legge o i Profeti; ma a dare pieno compimento». Gesù stesso, l’ultima Parola pronunciata da Dio, è il compimento di quei comandamenti che l’Altissimo aveva donato al suo popolo, perché rifuggisse il male e scegliesse il bene.
Egli è la Legge: il suo incontrare le persone per risanarne i cuori, le sue parole così risolutive e, nel contempo, suadenti, che invitavano a conversione, l’offerta di se stesso sulla croce, tutto di Lui ci appare come un trionfo del bene, uno svelarsi progressivo di un amore nuovo e diverso, proprio perché divino.
Il Signore è consapevole dell’originalità e del carattere definitivo dei suoi insegnamenti, per questo dice: «Avete inteso che fu detto..., ma io vi dico...». Emerge una prospettiva sorprendentemente nuova nelle richieste pur esigenti di Gesù: si passa dall’osservanza della Legge come tributo da versare a un Dio eternamente accigliato, a un invito che spazia su scenari insperati, che abbracciano la centralità del cuore e la dignità della persona.
Nel cuore di ognuno di noi si gioca la partita della vita, perché in questo nostro santuario segreto Gesù si fa presente con la sua parola autorevole, che ci invita ad abbandonare propositi di morte, a liberarci dall’ira, dal rancore, da ogni forma di disprezzo e d’inganno.
Inoltre, il Signore ci chiede un sacro rispetto per ogni persona: chi sta di fronte a noi ha i tratti di Dio, è plasmato a sua immagine e somiglianza, la sua dignità ci impone dunque di abbassare lo sguardo con pudore reverenziale e di trattenere le mani, rinunciando a ogni proposito di bramosia e di dominio. Certo, il cammino è arduo, specie per dei poveri cristi come noi.
San Paolo nella seconda lettura ci incoraggia e ci ricorda che si tratta della logica di Dio, della sua sapienza, “che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo” e aggiunge che a noi è stata rivelata per mezzo del dono dello Spirito Santo, che “conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio”.

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