Cinema
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Un film non all’altezza del romanzo

IT (Capitolo Primo)
(Usa, 2017)
Regia: Andrés Muschietti
Con: Bill Skarsgaard, Jeaden Lieberher, Sophia Lillis
Durata: 135’

Parole chiave: It (26), Sul grande schermo (18), Cinema (100)
Un film non all’altezza del romanzo

Alfred Hitchcock, che era un genio anche nelle battute, ad un giornalista che gli contestò lo scarso successo assegnato dalla critica a Psyco (1960), che il regista inglese aveva praticamente finanziato da solo con 800mila dollari e che aveva incassato quasi dieci volte tanto, rispose: «Lei ha proprio ragione. In effetti ho pianto per tutta la strada da casa alla banca».
Non ce ne vorranno quindi i sostenitori di Andrés Muschietti, regista di un film che risulta allo stato attuale l’horror di maggior successo nella storia al botteghino, se diremo che IT non ci è piaciuto granché.
IT è un romanzo colossale del grandissimo Stephen King: sia nella mole editoriale che nella qualità letteraria. Ma gli sceneggiatori Chase Palmer, Cary Fukunaga e Gary Dauberman, pare con il consenso dello stesso King, hanno commesso a parer nostro un altrettanto colossale errore, che certo darà ottimi risultati commerciali, ma che limita moltissimo la riuscita dell’opera.
L’errore è quello di aver rinunciato al racconto continuamente alternato in due ambiti cronologici – il 1957 e il 1985 – (alternanza invece mantenuta nella versione televisiva diretta da Tommy Lee Wallace nel 1990 con Tim Curry nei panni del mostro), collocando la vicenda nel 1986 e raccontandola tutta con i protagonisti ragazzini, riservando ad un secondo capitolo che uscirà il prossimo anno la parte dedicata agli stessi protagonisti diventati adulti.
Le due epoche raccontate con flashback servivano a King per ricordarci con tenacia che IT è un romanzo di riscatto e di redenzione. Il mostro che assume le sembianze di Pennywise, un clown terrificante (in questo film interpretato, va detto, con enormi capacità recitative dal giovane Bill Skarsgaard) che è un incrocio tra quello di una famosa catena di fast food e quelli del circo, si ciba letteralmente delle paure, dei sensi di colpa, dei traumi subìti nell’infanzia. Non saranno potenti supereroi a sconfiggerlo, ma una squadra di ragazzini che sono raccolti sotto l’esplicito nome di “Perdenti”. C’è Bill Denbrough (Jaeden Lieberher), il balbuziente che diventerà scrittore; c’è Eddie Kaspbrack (Jack Dylan Grazer), terrorizzato da ogni tipo di malattia; c’è Stan Uris (Wyatt Oleff) che è ebreo; c’è Richie Tozier (Finn Wolfhard), che porta occhiali molto spessi; c’è Ben Hascom (Jeremy Ray), già con problemi di obesità; c’è Mike Hanlon (Chosen Jacobs) che è nero; e c’è Bev Marsh (Sophia Lills), unica ragazzina, con un padre che la molesta. Già, perché tutti gli adulti di questo film sono orrendi quasi come il clown assassino. Ma troppe sono le scene che si basano sulla sorpresa e sullo shock che, sempre Hitchock insegnava, colpiscono lo stomaco, ma non l’intelligenza dello spettatore.

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