Cinema
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La fredda tenzone tra “statue” e corpi

L’ordine delle cose
(Italia-Francia-Tunisia 2017)
Regia: Andrea Segre
Con: Paolo Pierobon, Yusra Warsama, Valentina Carnelutti, Roberto Citran, Giuseppe Battiston, Olivier Rabourdin
Durata: 112’

La fredda tenzone tra “statue” e corpi

Nel suo terzo lungometraggio “di finzione”, dopo Io sono Li (2011) e La prima neve (2013) Andrea Segre rimane ancora su uno dei suoi temi preferiti, forse il più stringente e attuale dei nostri giorni, come dimostrano cronache e commenti quotidiani: quello delle migrazioni.
Stavolta, al contrario delle due precedenti, il punto di vista non è però quello dei migranti o delle persone che li ospitano. La storia, infatti, è incentrata sul personaggio di un poliziotto di alta specializzazione, funzionario di massimo livello del ministero degli Interni, Corrado Rinaldi (un bravissimo Paolo Pierobon), che riceve l’incarico di recarsi a Tripoli per organizzare con le buone o con le cattive il rallentamento, se non il blocco assoluto, dei viaggi di richiedenti asilo attraverso il canale di Sicilia.
Si mette così in scena – la sceneggiatura è dello stesso Segre e di Marco Pettenello – una sorta di tenzone fredda fra personaggi tutti d’un pezzo, privi di dubbi, cinici e disincantati, quasi delle statue umane (e quello della statua è un dettaglio ricorrente) e corpi, quelli degli uomini e delle donne che fuggono da guerra e fame, urtati con malagrazia, ammassati in stanzoni che tutto sembrano meno che camere ospitali, picchiati e, a volte, uccisi.
Com’è il caso del fratello di Swada (Yusra Warsama), morto in circostanze quantomeno sospette in Libia. La donna chiederà a Rinaldi di farsi latore di un messaggio per lo zio che abita a Roma e saranno i soli momenti in cui, anche grazie a un margine di sensibilità rimasto nella moglie di Rinaldi, Cristina (Valentina Carnelutti, brava come e più di sempre), il protagonista mostrerà qualche cenno di cedimento in direzione degli elementari princìpi di umanità che dovrebbero regolare qualsiasi rapporto civile.
Grazie alla fotografia di Valerio Azzali, al montaggio di Benni Atria, alle azzeccatissime musiche di Sergio Marchesini, a consueti e ottimi collaboratori nell’interpretazione come Roberto Citran e Giuseppe Battiston, Andrea Segre racconta una storia molto dura, facendolo – e si tratta di scelta opportuna e molto efficace – non con sequenze d’impatto disturbante, ma suggerendo situazioni ed emozioni che coinvolgono lo spettatore in una partecipazione che è, al contempo, anche riflessione.
La vita del protagonista e della sua famiglia tornerà ad essere ovattata e sicura, lenta e in apparenza protetta come le canoe che vediamo scorrere sul fiume Brenta.
Ma in ciascuno di noi si instilla l’amaro interrogativo se sia condizione del nostro benessere il tremendo stato di disumanità in cui vivono milioni di persone.

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