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È Pasqua, cuore della fede

Dall'opera di Bernardo Strozzi del 1620: Incredulità di Tommaso, una riflessione sul mistero pasquale, cuore della nostra fede 

È Pasqua, cuore della fede

Quattro uomini nella notte. Notte non tanto atmosferica, ma teologica. Lo sfondo, il mondo, la storia sembra non avere altra consistenza che il buio: e nel buio la persona si sente smarrita, avverte tutta la sua fragilità. Al centro di questa notte però c’è una luce, una ferita, due mani che si incrociano. E’ un quadro di grande suggestione, caratteristico del periodo della Controriforma: il Concilio di Trento, infatti, tra le altre cose, nel 1563 aveva promulgato degli orientamenti generali riguardanti l’arte sacra. Questi orientamenti generali trovarono una formulazione dettagliata in diverse raccolte di regole, elaborate da alcuni autori che si rivolsero direttamente agli artisti (Paleotti, Borromeo…). La Chiesa cattolica, dopo l’esperienza dello scisma protestante, puntò decisamente a riconquistare i cuori dei fedeli anche per mezzo degli artisti, per poter agire, attraverso le loro opere, sui sensi e sulle emozioni dei fedeli. Bisogna dire che questa “operazione missionaria” riuscì per merito di parecchi pittori, scultori ed architetti, laici e religiosi (gesuiti), che vissero intensamente l’esperienza spirituale e che quindi non si limitarono a seguire delle regole, ma seppero esprimere quel rinnovamento della Controriforma a cui loro avevano sinceramente aderito e che loro per primi avevano interiorizzato: è il caso di Rubens, di Bernini, e di molti altri, tra cui, pur a suo modo, il grande Caravaggio ed anche Bernardo Strozzi, l’autore di questa “Incredulità di Tommaso”! Questa arte, gioca molto sull’intreccio di legami tra sensi corporali e spirituali (cfr. Esercizi Spirituali di sant’Ignazio): il risultato è quello di ingaggiare lo spettatore in una dinamica dialettica dell’immaginazione e degli affetti. Le produzioni tipiche della Controriforma mettevano dunque l'arte al servizio della fede e della spiritualità; un'arte che doveva diventare “docente, delectante, movente”! Quindi, a quadri come questo, viene riconosciuta una funzione di tipo catechistico-morale. L’arte sacra può persuadere attraverso il potere suggestivo delle immagini, può cioè ri-creare le rappresentazioni religiose dei fedeli, orientandole verso la verità rivelata di cui la chiesa è annunciatrice e testimone. Come già accennato, l’autore di questo quadro è Bernardo Strozzi, detto il Cappuccino a causa della sua breve permanenza nell’Ordine dei Cappuccini che egli lasciò dopo alcuni anni per assistere la madre e la sorella che si trovavano in ristrettezze economiche. Lo Strozzi proviene dall’ambiente genovese in cui si era formato: qui egli aveva accolto dapprima l’esempio di Barocci e le tendenze naturaliste della pittura lombarda, in particolare, le novità di Caravaggio, i suoi criteri compositivi e l’uso drammatico del chiaroscuro, come si vede molto bene anche in questa tela. Inoltre si lasciò influenzare anche dall’esuberante arte di Rubens, facendo spazio a suggestioni fiamminghe. La sua pittura, ricca di pathos, è caratterizzata da un gamma cromatica corposa e calda e da un così attento studio della luce tale da raggiungere il virtuosismo. Dopo aver lavorato per la famiglia dei Doria e per diverse chiese di Genova, terminò la sua carriera a Venezia dove morì nel 1644. Il suo autoritratto si riconosce nell’apostolo Pietro, che sta dietro a Gesù al limite destro del dipinto. Al centro della scena si trova Gesù Risorto. La figura di Cristo è molto bella: il suo corpo è reso con i tratti della caratteristica sensualità pittorica dello Strozzi. Gesù è avvolto da un lenzuolo bianco che si apre e lascia scoperto il busto fortemente illuminato: la luce ne vivifica anche il volto, sereno, dolce e compassionevole. Il Risorto è tornato a mostrarsi ai discepoli, otto giorni dopo la sua prima apparizione al mattino di Pasqua (cfr. Giovanni 20, 19-31). Tommaso non era presente a quella manifestazione, ed aveva espresso tutta la sua perplessità e la sua fatica a credere alle parole di chi diceva di aver incontrato il Signore: voleva vedere e toccare con mano! Ora Cristo si mostra anche  a lui. L’uomo Tommaso non crede ancora: la sua fede è fragile, vacilla. Ha bisogno che il suo dito penetri il costato di Cristo fino al cuore… poi sarà il suo cuore a far sgorgare limpida la professione di fede: “Mio Signore e mio Dio!”. Bernardo Strozzi ci mostra Tommaso di tre quarti da dietro, cosicché lo spettatore non riesce a scorgere il suo volto: questa scelta intendeva favorire un processo di identificazione tra Tommaso e colui che contempla la tela. Anche per questo il piano della scena è molto ravvicinato, per rendere noi più vicini, quasi ci trovassimo anche noi dentro la stanza a partecipare al dramma di Tommaso. Questa vicinanza ci permette di osservare molto bene il fulcro del dipinto, un dettaglio molto fisico e molto spirituale che attira fin da subito il nostro sguardo: la mano dell’apostolo incredulo non si accosta da sola alla ferita del costato, ma è delicatamente guidata dalla destra di Cristo stesso! E’ un particolare davvero molto commovente. Altri due apostoli sono raffigurati nel quadro: di solito si tratta di Pietro e del discepolo amato, che nel Vangelo di Giovanni sono menzionati per la loro corsa al sepolcro, al mattino di Pasqua; anche Caravaggio aveva fatto la scelta di raffigurare loro due con Tommaso, per evidenziare che il cammino della fede non si fa da soli, ma in compagnia della comunità. Dei due, scorgiamo bene solo il volto di Pietro, che spunta dietro la spalla sinistra di Gesù, emergendo dal fondo scuro: il suo occhio destro è raggiunto da un riflesso di luce, simbolo dell’illuminazione della fede. Questo occhio guarda noi, ci scruta e ci interpella. Secondo l’affermazione del Risorto, saranno “Beati coloro che  pur non avendo visto crederanno”: ecco svelato il segreto di questo occhio che lo Strozzi ha voluto inserire nel suo dipinto: è anche l’occhio nostro, l’occhio segnato dalla fragilità / incredulità del discepolo che con fatica giunge alla fede. Ma è proprio in questa fragilità che si manifesta la potenza di Dio per il dono dello Spirito, come dice Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi al capitolo 4, versetti 6 e 7: “E Dio che disse: Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo. Però noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi”. Un bel testo da meditare davanti a questo dipinto.

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