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Sarà governo giallo-verde?

Il complicato amalgama M5S-Lega alla prova dei fatti: il presidente Sergio Mattarella incaricherà Giuseppe Conte?

Parole chiave: Movimento 5 Stelle (3), Matteo Salvini (3), Luigi Di Maio (4), Sergio Mattarella (8), Governo (17), Politica (43), Lega (5)
Sarà governo giallo-verde?

Stiamo passando dal reality “Formazione del governo tramite contratto stipulato tra Lega e Movimento 5 Stelle”, alla realtà. Cioè alla trasformazione di una telenovela che ci vede spettatori (un po’ annoiati) dal 4 marzo scorso, in un possibile governo tra le due forze populiste che hanno chiaramente espresso – da anni e in campagna elettorale – i loro orientamenti politici.

Solo che ora questo sta provocando un misto tra stupore e spavento. Ma davvero vogliono uscire dall’euro? E per fare cosa? Ma davvero vogliono allontanare l’Italia dall’Europa unita? Ma davvero cacceranno centinaia di migliaia di stranieri e “sigilleranno” le frontiere? Ma davvero taglieranno le tasse brutalmente e a tutti? E daranno soldi a milioni di disoccupati o inoccupati? E abbasseranno l’età pensionabile? E sfonderanno alla grande il tetto di un debito pubblico già mostruoso? E toglieranno le sanzioni ai russi contro il volere degli americani? E renderanno non obbligatori i vaccini per i bambini? E…

Mah, generalmente si governa per attuare le proprie politiche. E quelle di cui sopra sono da tempo propugnate dai due partiti che stanno in questi giorni “cercando la quadra” per comporre un esecutivo assieme. Così il passaggio dal reality alla realtà sta appunto spaventando un bel po’ di italiani – sicuramente esaltando molti altri – e moltissimi stranieri.

Costi. Certo, promettere tutto a tutti avrà un costo notevole. Altrimenti certe regalìe le avrebbero fatte pure i governi di destra, di sinistra e tecnici che si sono succeduti in questi 25 anni. Tra taglio delle tasse, taglio dell’età pensionabile, redditi di cittadinanza e altro ancora, si parla di oltre 100 miliardi di euro sicuri. Una cifra colossale che non si compensa con la vendita di qualche auto blu o il dimezzamento di certi privilegi parlamentari. Si possono spostare capitoli di spesa da una parte all’altra, ma quali sarebbero quelli sacrificati? La sanità? L’assistenza sociale? L’ordine pubblico? La scuola? La Lega propone una flat tax più o meno declinata così: un paio di aliquote molto basse per quasi tutti i redditi da lavoro, così da lasciare molti più soldi nelle tasche degli italiani. Applausi. Con quei soldi, si metterebbero in moto consumi ed economia, creando un circolo virtuoso di nuove entrate fiscali, più lavoro, più Iva…

Ebbene: non c’è un solo studio che dimostri la parità tra tagli e nuove entrate; non c’è un solo grande Paese nel mondo occidentale che si azzardi a farlo; c’è un solo esempio storico che può fare da riferimento. Nei primi anni Ottanta, il neo-presidente americano Ronald Reagan introdusse appunto una flat tax radicale, tagliando ferocemente la spesa pubblica («Affamiamo la bestia», disse). L’economia ripartì sicuramente, ma esplose pure il debito pubblico, che lasciò poi in eredità ai suoi successori e che è rimasto tale (enorme) da allora. Il nostro è già enorme oggi. Incongruenze I 5 Stelle hanno nel Dna la volontà di non fare accordi con nessuno, perché non accettano “compromessi” sulla propria linea, qualunque essa sia. Lo testimonia il fatto che, nelle amministrazioni locali, o governano da soli o comunque non hanno mai fatto una sola alleanza. La Lega, dal canto suo, si appresta a governare con il suo probabile futuro competitor elettorale, lasciando fuori Forza Italia e Fratelli d’Italia con i quali governa in Lombardia, Veneto, Friuli, Sicilia, Liguria, Molise. A Venezia e Campobasso tutti uniti, a Roma divisi. Tralasciamo infine il fatto che il 90% dei voti leghisti arriva dal Centronord, la maggior parte dei seggi grillini dal Sud: territori e interessi totalmente differenti.

Investitori. L’euro è una moneta fortissima che ci consente opportunità che la vecchia liretta manco si sognava. È riconosciuta in tutto il mondo, permette al nostro sistema finanziario di essere competitivo; non ci sta ostacolando nelle nostre esportazioni (anzi!). Investire nell’Italia dell’euro non è un problema. In quella della rinata lira? E la colossale svalutazione che ne conseguirebbe un minuto dopo l’addio all’euro, se mai sia possibile farlo autonomamente? Tutto ciò che importiamo costerà il doppio.

Europa. Perché l’Europa “è un problema”? Per gli assurdi regolamenti sugli imballaggi? Ma l’Europa significa anche sovvenzioni all’agricoltura, frontiere aperte a persone e merci, la forza di 400 milioni di persone unite… Abbiamo l’esempio della Brexit e delle grandi difficoltà che la Gran Bretagna sta affrontando per una scelta molto emotiva e poco razionale. A cominciare dalla questione irlandese.

Problemi. Ma che succederebbe se accadesse qualcosa di diverso, di ulteriore, di nuovo, rispetto a quanto pattuito con così tanta difficoltà in queste settimane? Che linea prenderebbe l’Italia negli scenari internazionali? Come reagirebbe il governo alla fuga di investitori che facesse schizzare lo spread a livelli pre-montiani? Che valore avrebbero i nostri patrimoni, le nostre case, i nostri redditi una volta rotto l’uovo? E chi garantirebbe che, per chiudere le falle nei conti pubblici, l’unica soluzione possibile, efficace e immediata (una grossa “patrimoniale” che colpirebbe conti correnti e altri nostri beni) non verrà attuata? Andremo verso un regionalismo sempre più spinto? Boh.

Per non parlare... Di infrastrutture, di welfare verso i più deboli, di innovazione e industria 4.0, di trasporto pubblico, di giustizia… Un solo esempio: i 5 Stelle sono ferocemente ostili ai grandi lavori pubblici, alle nuove autostrade, ferrovie, porti fino agli stadi (vedi Roma); la Lega amministra tre tra le Regioni più sviluppate e moderne d’Italia, a cominciare dalla Lombardia. Capirsi sarà un’impresa.

E se invece.... Se questo governo giallo-verde (dai colori dei due partiti) non si farà, rimarranno in piedi due ipotesi. Un esecutivo “neutro” che traghetti l’Italia verso fine anno e nuove elezioni la prossima primavera; elezioni subito e altri tre-quattro mesi di campagna elettorale con la stessa legge elettorale. Stranamente, finora il presidente Sergio Mattarella – di tutt’altra pasta rispetto al predecessore Giorgio Napolitano, ben più “interventista” – non ha voluto considerare un’ipotesi che potrebbe trovare i numeri in Parlamento: un incarico al centrodestra sperando nell’adesione di diversi parlamentari “responsabili” (a moltissimi secca perdere lo scranno appena conquistato) e/o nell’astensione del Pd. O pensa che un simile esecutivo duri niente, o l’idea di Matteo Salvini presidente del Consiglio lo fa stare male.

Il Pd: non pervenuto. Sta ancora giocando al suo reality preferito: “Assemblea-congresso-correnti-divisioni”. I giocatori si divertono moltissimo, visto che vanno avanti da anni; il pubblico amico, spazientito, se ne sta andando.

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